di Beppa Rigoni Scit
LA CALÀ È il “dominus”, anche se i primi abitatori provenienti da Valstagna (Staintal - Stain =sasso, in cimbro) già nell’anno 1000, erano stanziali e abili intagliatori di attrezzi in legno. Perciò, derivando “Sasso” la sua origine dalla Val Stain (Vastagna – sasso a valle), forse il nome corretto sarebbe dovuto essere “sasso a monte”), cioè Steinberg…Sarebbe suonato bene, no?
Ma il toponimo potrebbe anche essere di derivazione latina, a seconda dell’origine veneta o germanica dei prelati delle chiese. (Sappiamo che erano spesso questi ultimi a svolgere le funzioni religiose, perchè la popolazione parlava cimbro, cioè dialetto tedesco). Se di derivazione latina, è Saxum (qui inteso in senso lato come “insieme di roccioni”). Va detto che questa connotazione morfologica la rilevi ovunque e fotografa perfettamente la Calà.
Poiché nessuna parola è adeguata alla magia di quel luogo, ci affidiamo alle parole del grande Paolo Rumiz, in un suo pezzo del 2003 su Repubblica: “É lunga come il purgatorio, scura come il temporale: quattromilaquattrocentoquarantaquattro gradini, ripidi da bestie, faticosi solo a nominarli. Partono da Valstagna, sotto picchi arcigni, nel punto dove la valle sembra spaccarsi in due; l’erta prende la spaccatura di sinistra e brucia in un lampo 810 metri di dislivello ed è una delle opere più fantastiche delle Alpi…”
Venendo all’attualità, l’abitato di Sasso nel corso degli anni è stato oggetto di migliorie e innovazioni, (anche se mantiene l’antica impronta, vedi le vecchie case in pietra), non ultimo il nuovo campo di calcio in erba sintetica curato dalla “Società Sportiva Sasso”, che nulla ha da invidiare ad uno della città. Buffo l’elenco dei giocatori: Baù, Baù, Rossi, Baù…
Altrettanto significativi sono il Museo dei 3 Monti e il Monumento a Roberto Sarfatti, in località Ecchele. Il primo, allestito e curato da un…Baù, contiene reperti bellici italiani francesi e austriaci; il secondo, sempre sotto la sua tutela, è l’unica opera esistente in Italia fuori dalla sua regione, del noto architetto lombardo Terragni, commissionatogli nel ’35 dalla madre a memoria del figlio Roberto, caduto nel 1918 a 17 anni fra questi monti, da volontario e da eroe.
Oggi in centro, vi sono alcune piccoli esercizi e una chiesa imponente dove – abbiamo scoperto – una statua della Vergine è stata dedicata ai carbonai, l’antico mestiere.
Sasso: paese di forte emigrazione in quanto luogo di grande miseria, come capita solo nelle periferie e come sottolineato dagli anziani che abbiamo avuto la fortuna di incontrare. Una doppia fortuna, perché alcuni di loro hanno fatto gli spalloni giù per la Calà, oltre che i carbonai e gli operai forestali (maschi e femmine!), in giro per l’Italia e l’Europa. E noi che credevamo che quei tempi fossero trapassato remoto…Sì, tempi dimenticati da chi non vuol ricordare da dove veniamo (così non capiremo mai dove andiamo!) e quanta miseria ci fosse, quasi motivo di vergogna invece che punto d’onore, l’esserne venuti fuori.
E tanto orgoglio e grande dignità sono emersi dalle parole di chi la fame l’ha patita davvero ed è ancora qua a raccontarcelo: Danilo Rossi, Maria Baù e Santina Rossi…in Baù.
Danilo Baù è anziano relativamente: 72 anni. Si vede che ha lavorato in cava, ha un volto scavato nella pietra a testimonianza di quanto sia stata dura la sua vita. Abita in Contrà Gianesoni, abbarbicata sul pendio. A 17 anni è andato emigrante in Francia e al ritorno, ha aperto una piccola impresa con un compaesano, per poi proseguire da solo; attività che ha dovuto smettere anzitempo per motivi di salute. (I suoi 4 figli hanno oggi un’impresa edile nel capoluogo asiaghese). Sul poggiolo di casa ci sono dei fiocchi: è nata da poco Matilde. Così nell’arco di 40 anni in casa Rossi, siamo alla quarta generazione. La moglie Luigina – neanche 70enne e già bisnonna, racconta: “Da bambina d’estate andavo per fragole, lamponi, mirtilli (senza mangiarne neanche uno…guai!) e con i secchi giù per la Calà fino a Valstagna. Lì c’era fisso un mercato, dove col ricavato comprare farina, pasta, tabacco, sale o portare i pochi franchi a casa”. Veramente dice: “la sale”, al femminile: curioso! E qui gli occhi increduli si sgranano…come? Non è preistoria questa? No, è cronaca del 1956, anno in cui fu ultimato il collegamento con Asiago.
A rincarare la dose, l’incontro con le altre due: Santina e Maria. Santina Rossi in Baù è un’arzilla 93enne, con due occhi azzurri come il mare ancora bella come nelle foto di ragazza. Maria Baù (84) è la sua amica del cuore: è stato difficile dar voce all’una o all’altra, perchè vispe come due adolescenti, si suggerivano e si rubavano i ricordi. Li riportiamo. Santina:
“Che vita, che fame…deso stemo ben, deso simo siori”.
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E lo ripete ossessivamente come un mantra. Ha raggiunto in Francia il marito con i suoi 5 figli, come dal suo passaporto francese, il sesto è nato lì. Han fatto gli operai forestali e i carbonai, vivendo nel bosco in baracche tirate sù con le loro mani. Han vissuto l’emarginazione, il controllo ossessivo della loro identità e idoneità, sennò raus! Al ritorno, “con quei quatro schei” han sistemato la casa avita, la stessa della foto. Maria Baù, emigrante in Savoia già con i genitori (parla ancora la lingua), ma anche in Liguria e sugli Appennini, ricorda che lasciava i suoi bambini a dormire su una coperta sotto i pini e c’eran le bisse, che andavano a scaldarsi là vicino. E’ andata pure a scuola in Francia e lo si avverte. Ma il suo ricordo più forte è legato alla Calà: scendeva coi prodotti locali e col ricavato comprava in loco il tabacco, spesso per portarlo nascosto nella gonna, di contrabbando fino a Trieste, dove lo barattava col sale (anche 20 chili per volta), dopo aver passato di notte con un barcone il fiume a Portogruaro, perchè il ponte era stato fatto saltare dai tedeschi. Una ragazzina, a dover affrontare mille pericoli, non ultimo l’essere scoperta e requisita, come realmente accaduto.
“Podaresimo scrivare un libro…”, conclude.
Che emozione e che onore aver avuto testimonianza diretta del passato, traslando i libri di storia che, da che mondo è mondo, te la raccontano a modo loro. Che gioia stampare un bacio su quelle guancie rugose sapendo di aver suggellato un’amicizia per sempre.
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UN CENNO DOVEROSO tocca al significato dei toponimi delle contrade, trovato nel libro del Rizzolo che abbiamo dovuto saccheggiare dopo aver indagato invano con gli autoctoni: nessuno sapeva da dove derivasse il nome della loro contrada! Chiesa ovvio, è l’area dove è situata, al centro della frazione Sasso; Lobba è la parte pianeggante prima di entrare in centro (da oba=piana, ergo: l’obba); Mori, contrada in direzione Stoccareddo, pare si intrecci con Mörar di Asiago dove i Dal Sasso – che di soprannome facevano Mori – avevano delle proprietà; Ruggi: ultima contrada verso Gallio, significa: zappativo, pascolo ma anche rozzo, duro. Va a braccetto con Grulli, assai dissimile dal significato poco qualificante in italiano, in particolare in Toscana, derivante o dal cimbro (grüll, cioè collerico) o dal veneto (grolo, cioè spilungone): magari, il capostipite era uno spilungone collerico…Di Eckelen o Ech ce ne sono tanti quassù e il significato è: fianchi ripidi/colli; Caporai: soprannome di tanti Rossi, alcuni dei quali furono capi-contrada, cioè caporali; Pieretti da un tal Piero..; Cotti: da Kot o Koat, ovvero fango; Colli: stesso significato di Ech, cioè colle; Gianesoni: o Genesoni, deriva da Gianese, Gianni, Giovanni…; Sprunck: da springen, cioè saltare, quindi salto, balzo o scoglio; Infine Loca, toponimo molto diffuso in Altopiano, deriva da loch: buco, pertugio.
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